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Alessio De Marchis paesaggista del ‘700 dalla collezione Aldo Poggi

Mostra Collaterale a Pennabilli Antiquariato 2019

Ad attrarre appassionati e collezionisti alla XLIX edizione della Mostra Mercato Nazionale d’Antiquariato Città di Pennabilli (sabato 13 – domenica 28 luglio 2019) sarà anche la prestigiosa mostra collaterale: “Alessio De Marchis paesaggista del Settecento dalla collezione Aldo Poggi”.

Quest’anno Pennabilli Antiquariato accende i riflettori sull’eccentrica personalità di Alessio De Marchis (Napoli, 1675 – Perugia, 1752), detto “Alessio napoletano”, esponente di spicco della pittura paesaggistica del Settecento, proponendo al pubblico le eccezionali opere appartenenti alla collezione di Aldo Poggi.

La raccolta, curata da Francesco Petrucci con la collaborazione di Giancarlo Sestieri, è stata presentata per la prima volta a Roma in una mostra che si è conclusa lo scorso gennaio suscitando un grande interesse tra gli appassionati e gli studiosi d’arte.

L’iniziativa offre l’opportunità di inquadrare il profilo artistico di Alessio De Marchis grazie a oltre trenta opere inedite, oltre ad alcuni dipinti di suoi maestri e di paesaggisti contemporanei: Gaspard Dughet, Rosa da Tivoli, Andrea Locatelli, Frans van Bloemen, Paolo Anesi.

Alessio De Marchis unisce spesso alla sensibilità nei confronti della natura, sviluppata in seno al movimento dell’Arcadia, accenti pre-romantici, che emergono dal coinvolgimento emotivo, dal sentimento di meraviglia e sgomento di fronte alla forza della natura.

Alessio De Marchis fu pittore di mestiere. Dotato di non comuni capacità tecniche, seppe codificare un proprio brioso stile individuale e ottenne il favore della piccola aristocrazia marchigiana e umbra come della grande nobiltà pontificia, testimoniato dalla presenza di sue opere in alcune fra le più importanti collezioni del tempo.

Il suo pittoricismo materico di carattere impressionistico, impostato molto spesso su tonalità calde e delicate, anticipa Francesco Guardi e, talora, la pittura del secolo successivo, alternando sereni ambiti paesaggistici di stampo arcadico ad altri, caratterizzati da una natura aspra e selvaggia, in cui si distinguono dirupi rocciosi, cascate, cieli corruschi, eruzioni vulcaniche, anticipando Pierre-Jacques Volaire, Jakob Philipp Hackert, a volte Ippolito Caffi.

Tuttavia, Alessio De Marchis mantiene costante l’equilibrio tra uomo e natura grazie a un senso di armonia superiore. Rivisitata alla luce della sensibilità arcadica, la natura è il “locus amoenus” che fa da sfondo non più a ninfe e satiri, ma a quieti pastori, contadini, viandanti, pescatori, popolane. La natura si offre come illusione di un’esistenza senza crucci, che neppure le sue manifestazioni più irruente possono sconvolgere poiché la dimensione utopica, fuori dalla realtà, assicura una quiete perenne lontano dagli affanni delle occupazioni e delle preoccupazioni della vita cittadina.

È questo il contesto in cui va collocata la figura di Alessio De Marchis, pittore arcadico e protoromantico insieme.

Renato Guttuso Colori e Passioni

Mostra Collaterale a Pennabilli Antiquariato 2018

Perché Guttuso

Personalmente amo quest’artista.

Le sue opere mi portano indietro nel tempo, quando da ragazzina attraversavo con mio padre il grande mercato della Vucciria di Palermo e i miei pensieri di bambina si nutrivano di suoni, colori, odori, che sono rimasti dentro me e che, oggi, attraverso la pittura di Renato Guttuso rivivo e ancora percepisco come una grande magia.

Guttuso prima di tutto è siciliano.

Si vede in ogni suo quadro; di quella terra ha i colori, i sogni, le intensità della luce, così calda e forte che fa risplendere gli oggetti, le persone, al punto che ogni particolare è esaltato e diviene fondamentale.

Nelle sue opere predominano i verdi, le terre, il giallo, il blu e il rosso guttusiano. Guttuso è riuscito a portare il sole della sua Sicilia anche sotto terra.

“Ci sono pittori che dipingono il sole come una macchia gialla, ce ne sono altri che, grazie alla loro arte e intelligenza, trasformano una macchia gialla nel sole.”( Pablo Picasso )

Tutta la vita di Guttuso è riflessa nelle sue opere, che sono fonte di grandi emozioni, vibrazioni, passioni.

Questa mostra vuole rendere omaggio a un grande Maestro, che si è imposto sin dalla prima metà del Novecento, non soltanto in Italia, e che ha fatto della natura morta il centro della sua produzione, anche se la figura femminile costituisce per Guttuso un soggetto privilegiato.

La mostra, costituita di 30 opere tra grafiche tecniche miste e oli, accompagnerà il visitatore attraverso il fuoco dell’arte e la grande passionalità che hanno contraddistinto Renato Guttuso in un percorso magico, realizzato con opere, pensieri e parole del Maestro.

“Colori e passioni”: una mostra ricca di emozioni per uno dei grandi artisti italiani del Novecento.

 

Lia Chifari De Lisi

Arte Terra Cultura, Giò Urbinati a Pennabilli

Mostra Collaterale a Pennabilli Antiquariato dall’8 al 23 luglio 2017

In considerazione dello stretto rapporto con il territorio e con alcuni degli artisti che gli hanno dato maggior lustro, Tonino Guerra prima di tutti, la XLVII edizione della Mostra Mercato Nazionale d’Antiquariato Città di Pennabilli dedica la collaterale a Giovanni Urbinati.

Giovanni Urbinati è nato a Rimini nel 1946, ha avuto una prima formazione nell’atelier di Carla Birolli negli anni Sessanta ed è stato allievo di Benito Balducci e Rosetta Tamburini. “… dissero che avevo talento e mi spronarono a continuare. In seguito La cattedrale dove va a finire il mare, poi Il giardino pietrificato, L’arco delle favole, L’orto dei frutti dimenticati segnano il mio particolare rapporto con Tonino Guerra.”

Urbinati narra così il primo incontro con il poeta all’interno del suo atelier: “Il suo modo di osservare i miei lavori era come quello di un bambino che entra in un mondo diverso, e subito si trova a suo agio e gli piace. Gli occhi gli luccicavano sopra un bel sorriso accarezzato da duri baffetti.”

Dopo qualche tempo Tonino Guerra richiama Urbinati per parlargli di un progetto sotto la torre di Bascio: “Devi sapere che c’è un posto verso la Toscana, si chiama Castello di Bascio, lì c’è una torre sopra ad una collinetta dove è sepolto un castello. Mi piacerebbe mettervi sette tappeti…“

Realizza ancora numerose opere pubbliche diffuse nel territorio, in tutta la Valmarecchia, a San Marino e a Rimini. Urbinati ha all’attivo la partecipazione a decine di mostre personali e collettive e a concorsi nazionali ed esteri e la pubblicazione di numerosi cataloghi e opere grafiche.

In occasione della sua ultima recente esposizione: “Cinquant’anni più uno di alchimie” presso Fabbrica Arte Rimini, Annamaria Bernucci ha scritto:

“Sotto le dita robuste di Gio si disambiguano le distinzioni gerarchiche degli oggetti, la ceramica fa corpo con la natura, si riveste di un lessico possente e alchemico, di confessioni e di ricordi, di frammenti liberi come un verso poetico sfuggito a un canzoniere immaginario…”

A chi gli chiede cosa occorre per materializzare un’opera d’arte Gio Urbinati risponde: “Quel momento dove fantasia e sentimento si fondono e si genera un’idea; che sia creta o tela per dipingere, marmo o metallo poco importa, cambiano solo le tecniche per farne uscire l’opera… Seguo un progetto; l’emozione dà forma alla sostanza, guida le mani, mentre l’armonia è sempre presente fin dal primo istante, poi c’è tutto un modo capace o incapace di esprimersi, basta cogliere l’istante… Se c‘è passione impari la tecnica, va di concerto, non si possono scindere le due cose.”

Ilario Fioravanti Dall’ombelico in su Sculture e sanguigne

Ilario Fioravanti Dall’ombelico in su Sculture e sanguigneLe donne di Ilario Fioravanti: nel segno della madre e delle fatalone sognate

Mostra collaterale dal 9 al 24 luglio 2016.

La Mostra Mercato Nazionale d’Antiquariato Città di Pennabilli offre anche quest’anno la possibilità di visitare, all’interno dello stesso Palazzo Olivieri, una prestigiosa collaterale: “Ilario Fioravanti. Dall’ombelico in su: sculture e sanguigne”. La mostra viene qui presentata dal giornalista e scrittore Salvatore Giannella, che ha conosciuto personalmente il Maestro cesenate.

Il vento porta a Milano la notizia della bella mostra a Pennabilli “Dall’ombelico in su: sculture e sanguigne”, dedicata a Ilario Fioravanti e a uno dei suoi mondi preferiti: le donne. E dal pozzo della mia memoria affiorano brandelli di immagini che compongono un mosaico, spero utile per i visitatori.

Il titolo è un seme gettato sul tavolo del Piastrino anni fa, durante un pranzo presenti, con l’immancabile regia di Gianni Giannini e con me invitato, Tonino Guerra e il suo amico ammirato Ilario Fioravanti. “Sarebbe bello che un giorno potessero sbarcare all’ombra della Penna le tue donne, incontrate, dipinte, scolpite, sognate; queste ultime in maggioranza, perché, caro Ilario, dimostri di conoscere le donne e i nudi seducenti meglio con la tua immaginazione che quelli di carne… Potrebbe essere una mostra dal titolo ‘Dall’ombelico in su’ “, concluse con poetica praticità Tonino. Era un sogno che, lentamente, si è fatto strada fino a trovare tanti consensi che l’hanno trasformato oggi in una ammirabile realtà.

Era la prima volta, in quel 1996, che incontravo Ilario. La sua figura mi si era concretizzata sei anni prima tra le righe della efficace presentazione di una mostra tenuta a Milano alla Compagnia del disegno. Raffaele De Grada invitava nelle pagine culturali del Corriere della Sera a scoprire questo “scultore diverso dal solito”, capace di maneggiare la terracotta con grande abilità: “un’abilità che gli è congeniale e che potrebbe portargli una sicura fama di virtuoso ma che lui sacrifica per un’indagine acuta sui personaggi della vita, raccolti in quella dolce ironia che dimostra un comportamento umano, di buon senso, una filosofia della vita che Giovanni Testori ha definito cristiana”. Un gigante dell’arte cresciuto in quella fucina di artisti che è stata Cesena nel dopoguerra, con il gruppo di pittori (Sughi, Cappelli, Caldarisi, seguiti poi da Gazza e da Piraccini) che impose la propria presenza nell’impegno per il realismo. “Sembra quasi impossibile che questo artista, Fioravanti, sia stato fin qui pressoché ignorato”, lamentava De Grada, ignaro delle difficoltà che gli artisti romagnoli in tutte le epoche hanno trovato nella loro pur straordinaria terra dove, abbagliati dal turismo dei grandi numeri, in molti dimenticano l’energia anche economica che può donare alla Romagna la nicchia crescente del turismo culturale.

Le donne forgiate e ricordate da Fioravanti riportano a due modelli affiorati quel giorno a tavola e perfezionatisi nei successivi incontri nel suo nido creativo di Sorrivoli, la mitica casa dell’Upupa, e anche oltre, per esempio a Milano nel 2011 quando la sposa di Ilario, Adele, venne alla Triennale a presentare il fondamentale libro dello psichiatra e scrittore Vittorino Andreoli “Le mani nella creta” (edito dalla Fondazione Tito Balestra onlus). Il primo era la madre, arrivata a Cesena da Bondeno, pianura padana, per sposare un tabaccaio pieno di lavoro e di ironia ottimistica. Prima del matrimonio, la madre lavorava in una fornace e faceva mattoni. Questo riferimento è fondamentale per capire l’opera di Ilario. La fornace si lega infatti alla terracotta, alla possibilità di creare delle sculture con questa stessa materia che Ilario prediligeva su tutte. La madre (pur severa e fredda e talora assente, sostituita dalla balia) gli raccontava che quei mattoni, che dovevano essere regolari, geometrici perché servivano poi per costruire dei muri e delle case, qualche volta, prima di cuocerli, lei li manipolava, come ad attribuirvi una personale forma artistica. “Da questo filone materno si può intravvedere un’origine di quel talento di Ilario”, diagnosticò Andreoli.

Oltre alle donne di famiglia (con la madre, una zia paterna e poi la sorella minore, che lascerà per la sposa Adele, più giovane di lui di vent’anni) il mondo di Ilario è costellato da altre donne. Donne d’occasione, donne di cui s’innamora per una breve stagione, donne che posano per i suoi nudi, modelle con cui stabilisce qualche storia e che poi scompaiono. “Non da dentro di lui però”, precisò Andreoli. “La sua mente è piena di donne, penetrata dalle donne, e continuerà un dialogo, anche di gesti d’amore, in gran parte di fantasia… Ne sono una prova l’infinito numero di donne che egli rappresenta, in particolare i nudi, donne che talora cattura dalle fotografie di una rivista, immagini di donne magari vestite che lui ricrea nude”.

Simbolo di queste “altre donne” resta la pioniera Fatalona, con le coscione e le fattezze debordanti dalla sottoveste: una vera belloccia romagnola con gli occhialoni da spiaggia, che rimanda all’immagine comune nell’universo creativo di Fellini e delle fantasie romagnole.

Le Fatalone nate nella mente di Ilario sono figure seducenti e insieme fragili. Grandi matriarche, donne carnose e affamate di uomini. Creature che ti sembra di incontrare per le strade della Romagna, e ti viene voglia di abbracciarle.

 

SALVATORE GIANNELLA